La Comfort Zone dell'Identità e il suo Dramma.
- L'EducAttore.
- 27 set 2020
- Tempo di lettura: 3 min
E’ il tema di molti film, di svariati libri e di infinite discussioni.
“Chi sono io?”

Ti dicono “sei buono”, “sei generoso”, “sei simpatico”.
Fantastico, sono una brava persona.
E poi torni a casa e tua sorella ti urla “Sei uno Stronzo” per averle rubato l’ipad, tua madre alla battuta sulla sua pancia ti dice “Piantala, non sei simpatico”, e per finire al tuo amico che ti chiede gli appunti di storia, che sai di aver scritto di m***a, rispondi che non te la senti, ti becchi dell’egoista.
Ottimo, ma non ero una brava persona?

Una domanda analoga sulla nostra identità ci viene posta in modo molto più informale quando siamo più piccoli: che cosa vuoi fare da grande? E da grande poi, ci ritroviamo a farne nuovamente i conti.
Ami i videogiochi, ma anche le lettere classiche: è possibile essere un insegnante di latino che gioca a Call of Duty online con i suoi amici? E così ti dicono “Non me lo sarei mai aspettato da te”. E piano piano smetti di giocare a Call of Duty e ti dai ai film, che anche quelli ti piacciono.
Cucini, ti piace dipingere, lavori in fabbrica, fai un corso di cinema e l’anno successivo ti iscrivi ad un corso di arrampicata. Chi ti conosce non sa definirti, e tu nemmeno ci provi.
E fai bene.
Sembra quasi di essere persone diverse: a casa siamo stronzi, con gli amici fantastici. A

Scuola ottimi insegnanti, a casa dei player professionisti. A volte ci giustifichiamo dicendoci “Io non sono così”: a casa per difenderci dai giudizi negativi, dagli amici perchè sentiamo di non meritare i loro complimenti. E altre volte mentiamo su ciò che facciamo per non dover sopportare ancora una volta quella faccia: “ No non posso, stasera andrò a dormire presto” e invece ti eri messo d’accordo con i tuoi amici per quella partita online da tradizione, “non faccio nulla di che” e invece sei iscritto ad un corso di disegno per puro interesse; ma ti ritrovi a mentire perché non fai parte della categoria nella quale il mondo tenderebbe ad inserirti.
E così scegliamo di essere solo una cosa, o più cose che tra loro si assomigliano, che è più o meno lo stesso.

Tutto questo può essere fonte di ansia e di stress. Non sapendoci definire fatichiamo ad avere un immagine di noi stessi, a sapere che cosa vogliamo e in che direzione andare. Ci sentiamo costantemente a metà tra un obbiettivo e un altro. Invece di vedere la nostra vita colorata, la vediamo come un insieme di pezzi di puzzle che non si incastrano. E cosi può assalirci il senso di inutilità o di inadeguatezza.
Ma dunque chi siamo?
Beh in realtà, noi siamo tutto questo. Siamo persone buone ma anche persone stronze,

siamo generosi con alcuni, e con altri meno, siamo simpatici ad un gruppo e con una certa battuta lo siamo meno. Ogni situazione tira fuori da noi nostre differenti caratteristiche, tutte fondamentali a ricostruire l’integrità della nostra persona. Certo, alcune dovranno essere equilibrate, su altre bisognerà lavorarci. Ma nulla di tutto questo accade se non accettiamo la nostra complessità. Siamo interessati a differenti cose perché ciascuna risponde ad una precisa e propria necessità interiore.
Siamo complessi. Accettiamolo. Siamo tante e diverse cose. E va bene così.
Dunque non siamo “Buoni”, ma “prevalentemente buoni”. Non siamo stronzi, ma “Stronzi in quella situazione.” Non siamo “Operai”, ma “il più del tempo sono operaio”. E’ importante comprendere questo per non fossilizzarci in una definizione che tenderebbe a svalutare le nostre capacità o di estendere i nostri comportamenti funzionali ad una situazione, a tutte.
Il Teatro come Strumento di Lotta alla Comfort Zone Identitaria.
Non adeguare i nostri comportamenti ai vari ruoli che svolgiamo perché decidiamo di plasmarci al senso di identità che la società ci richiede è più semplice e meno faticoso; ma cadiamo così nella “Comfort Zone dell’identità”
Il teatro offre una splendida educazione che spinge l’attore a ribellarsi a questa semplice comodità che tende a creare relazioni disfunzionali, dinamiche tossiche, o essere causa di ansie.
Il teatro insegna che dentro di noi vive tutto: esiste il coraggioso Amleto, ma anche la timida

Ofelia, il romantico Romeo ma anche un geloso Otello. Un giorno amiamo interpretare un insegnante di una commedia di Bennet, e un altro un dottore di un dramma di Ibsen. Nell’interpretazione di un testo ricorriamo al nostro vissuto: la paura del personaggio nasce da una nostra personale paura, la conformazione della rabbia di un personaggio nasce da come abbiamo osservato noi stessi ad arrabbiarci. E nel corso del tempo le cose da cui traiamo le nostre emozioni, cambiano. E questo perché siamo in costante cambiamento ed evoluzione. Il teatro insegna che siamo tanto e tanti, ma sopratutto ad equilibrare ogni aspetto di noi stessi, dando semplicemente loro voce.
Impariamo a non essere una definizione ma una moltitudine di aspetti in costante cambiamento.
Comentarios